Il patrimonio culturale deve essere reso “prossimo”, fatto risuonare con la vita delle persone. Riteniamo sia questa la condizione necessaria non solo per salvaguardarlo e trasmetterlo alle generazioni future, ma per renderlo vivo e attuale.

In un momento storico in cui si parla molto di pubblici di prossimità, è nostra forte convinzione che nutrire il rapporto con il territorio richieda un ripensamento della prossimità non solo come vicinanza fisica, ma anche e soprattutto come legame di senso.

QUALE “NARRAZIONE”?

Una premessa doverosa riguarda il nostro modo di concepire la narrazione: non come atto performativo (i narratori di professione), nè come strategia di comunicazione persuasiva sempre più utilizzata in ambito non solo culturale, ma anche politico, economico e aziendale (lo “storytelling” di cui negli ultimi anni si parla tanto), bensì come atto quotidiano ed elemento fondamentale della relazione umana: si narra per il bisogno e il desiderio di comunicare i propri vissuti, i propri pensieri, i propri sogni, facendo appello non tanto a tecniche oratorie, quanto piuttosto ad abilità espressive ed emotive.

Questa esperienza attraversa la storia umana nei tempi e alle latitudini più diverse.

Il linguaggio della narrazione, in altre parole, è universale.

Ecco perché ci sembra tanto importante utilizzarlo anche dentro a un museo, in una biblioteca o in un archivio, nelle strade di una città e nei “luoghi della memoria”, davanti a un paesaggio…  Perché parla a tutti, e – a differenza del linguaggio tradizionale di una visita guidata – è in grado di mettere in moto quelle risonanze che l’incontro con un’opera d’arte, un oggetto o una qualsiasi testimonianza del patrimonio (anche immateriale) suscita nell’esperienza e nel vissuto personale di ognuno, se ci diamo il tempo per guardarla in profondità.

La narrazione crea un ponte tra le storie del patrimonio e le storie delle persone.

Per una istituzione culturale, investire sullo sguardo e sul vissuto delle persone, invece di arroccarsi nella propria autoreferenzialità, non significa abdicare al rigore scientifico: per ogni narrazione c’è un lavoro di puntuale accompagnamento da parte degli studiosi, dei curatori, degli educatori coinvolti in ciascun progetto. Questa supervisione non è un atto calato dall’alto, né tantomeno un tentativo più o meno esplicito di mantenere il controllo sui contenuti; il nostro è un lavoro di tessitura tra Storia e storie, dove le due dimensioni – quella disciplinare e quella narrativa – non solo “coesistono”, ma si alimentano a vicenda, in un gioco di rimandi e risonanze che arricchisce l’una e l’altra. Talvolta gli sguardi si intrecciano a tal punto che anche gli specialisti incominciano a vedere il patrimonio con nuovi occhi.

QUESTE LE CARATTERISTICHE ESSENZIALI DEL NOSTRO METODO DI LAVORO:

Darsi tempo per:

  • Dilatare la capacità osservativa e descrittiva: l’osservazione prolungata davanti alle testimonianze del patrimonio
  • Potenziare l’ascolto: il gruppo come cassa di risonanza
  • Lavorare sulla necessità di raccontare e raccontarsi
  • Portare i narratori a individuare il nucleo della propria storia, a scegliere immagini e parole precise
  • Offrire alle persone una opportunità concreta di auto-rappresentazione

Mettere in dialogo la vita di opere/oggetti/luoghi e quella delle persone per:

  • Intrecciare con rigore e con cura la storia del patrimonio al racconto personale, in modo che diventino una cosa sola e si valorizzino a vicenda
  • Saper tradurre e rendere accessibili i sapere disciplinari anche i più complessi

Lavorare in equipe:

  • Mettersi in ascolto
  • Rispettare le opinioni degli altri
  • Valorizzare i contributi di ognuno come risorsa
  • Saper modificare il proprio punto di vista

Creare comunità patrimoniali eterogenee, allargate e inclusive

L’esperienza del narrare, del condividere le proprie storie sia all’interno del gruppo, sia in occasione della restituzione ai/con i pubblici, consente di formare “comunità patrimoniali” (Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, meglio nota come Convenzione di Faro, 2005) lungo linee non tanto di nazionalità, etnia, fede religiosa, età, genere, condizione socio-culturale, quanto di affezione, senso di appartenenza, attribuzione di senso.

TESTIMONIANZE

Li Chenxi sul workshop “In viaggio attraverso i Sette Palazzi Celesti”

Emanuela Daffra e Rosana Gornati sul progetto “Brera: un’altra storia”

“Lascio in eredità me stesso alla terra”: la testimonianza di Marzia Gotti

Biljana Dizdarevic sul progetto “Brera: un’altra storia”