Project Description
DIPINGERE A PAROLE
STORIE CIRCOLARI NEI MUSEI DEL CHIANTI E VALDARNO
Sistema Museale del Chianti e del Valdarno Fiorentino, sedi varie, 2018-2019
Con “Dipingere a parole” abbiamo voluto innestare nel nostro territorio un metodo di mediazione culturale profondo e coinvolgente, già sperimentato in Lombardia da Silvia Mascheroni e Maria Grazia Panigada con Simona Bodo.
Un progetto che pone sullo stesso piano i due principali fulcri di attenzione del nostro Sistema Museale: le opere e le comunità.
Come in un giro di vento circolare, le persone si specchiano nelle espressioni più alte del patrimonio culturale chiantigiano e valdarnese e vi si riconoscono, animandole di voci allegre e serene, cupe e burrascose.
Nicoletta Matteuzzi, coordinatore scientifico del Sistema Museale del Chianti e del Valdarno Fiorentino
Foto di Alessandro Pucci
“Dipingere a parole”, un progetto del Sistema Museale del Chianti e del Valdarno Fiorentino a cura di Silvia Mascheroni e Maria Grazia Panigada, nasce dalla volontà di promuovere i tesori identitari custoditi nel territorio, centri simbolici di comunità e paesi, ma sovente poco conosciuti e frequentati dal pubblico.
Questi i luoghi attraversati dal percorso: il Museo Ghelli di San Casciano Val di Pesa, il Museo d’Arte Sacra di Tavernelle Val di Pesa, l’Oratorio di Santa Caterina delle Ruote a Bagno Ripoli, il Museo Masaccio di Reggello e il Museo d’Arte sacra della Collegiata di Santa Maria Assunta di Figline.
Sei le narratrici, tutte operatrici dei musei afferenti al sistema, che hanno sperimentato un nuovo intreccio narrativo fra l’opera d’arte e il vissuto autobiografico, raccontando di sé e del proprio legame con il paesaggio culturale, loro ambiente di vita e di quotidianità. I loro racconti fanno sì che le testimonianze del patrimonio diventino oggetti d’affezione, e i musei ambienti di prossimità.
La nostalgia è un tratto condiviso nelle narrazioni e la rimembranza, benché appartenga a un tempo lontano, si fa sensoriale (possiamo annusare, sentire, toccare), con dettagli minuti anche del paesaggio.
Le narratrici hanno condotto i pubblici alla (ri)scoperta di questi luoghi per loro così preziosi in occasioni dedicate, suscitando interesse ed emozione: in un primo calendario di appuntamenti che si è svolto a maggio, e in un secondo, a ottobre 2019.
I testi integrali delle narrazioni sono pubblicati in S. Mascheroni, N. Matteuzzi, M. G. Panigada (a cura di), Dipingere a parole. Storie circolari del Chianti e del Valdarno (Masso delle Fate, 2019).
Ogni narrazione è stata videoripresa da Alessandro Pucci, consentendo di ricomporre anche il contesto di questo territorio così armonico nell’espressione della natura e nella relazione felice con le testimonianze del patrimonio.
Guarda il trailer di “Dipingere a parole”
Guarda la narrazione di Maria Italia Lanzarini sul Trittico di San Giovenale di Masaccio, 1422
Guarda la narrazione di Nicoletta Matteuzzi sulla Vergine Assunta di Benedetto e Santi Buglioni, inizio XVI secolo
Guarda la narrazione di Daniela Matteini sul Martirio di San Lorenzo di Ludovico Cardi detto il Cigoli, 1590
Guarda la narrazione di Tiziana Giuliani sulla Madonna col Bambino di Ambrogio Lorenzetti, 1319
Guarda la narrazione di Francesca Goggioli sul Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria di Spinello Aretino, fine XIV sec.
Guarda la narrazione di Alice Chiostrini sulla Madonna col Bambino di Meliore di Jacopo, 1280 c.
Qualche estratto dalle narrazioni
Il viso di Maria è delicato e giovane. Le mani, invece, sono grosse e scrostate, con pochi e miseri resti di pittura rosa; sono atteggiate in preghiera; non sono però garbatamente unite, ma arcuate e si toccano appena solo con le punte delle dita.
Non sono le mani tenere di una Madonna, ma mani callose e inspessite, tanto che non riescono più a distendersi completamente.
La mia nonna aveva queste mani perché era nata contadina e a lavorare nei campi mani e viso, per quanto belli, si sciupano per il sole o il freddo. Anche il mio babbo le ha così, perché con le mani lavora il cuoio da più di quarant’anni.
La stessa commozione che provai 9 anni fa davanti agli affreschi la provo oggi, quando esco dall’Oratorio e spengo le luci. In quel momento davanti alle pitture che infrangono il buio, esito a uscire.
Percepisco la materia dei colori, il pennello sull’intonaco, l’abrasione della superficie pittorica, le crepe del muro. I personaggi sembrano pietrificati; adesso è la materia a parlare, e tutto sembra più umano.
A luci spente, col nodo in gola, sento il mio respiro, avverto la natura che circonda la cappella, ascolto il silenzio, mi ricordo delle venature dell’alberese.
Il viaggio di Caterina forse porta qui.
Resto sempre qualche minuto ferma a guardare, come se qualcosa mi trattenesse.
Poi forse è il vento di Caterina a darmi la spinta per uscire.
Sicuramente è il suo vento che mi richiama sempre a tornare.
La prima volta che ho sentito parlare di Masaccio avrò avuto sette o otto anni. Passavo per caso vicino alla scala che portava in cucina; lì c’erano mia mamma e don Renato che parlava a bassa voce.
— Capisci? Non possiamo lasciarlo a Firenze. Questo Masaccio è nostro. Alla Soprintendenza lo devono capire!
Non so cosa abbia risposto mia mamma; avevo sentito quello scambio solo per caso e sinceramente non aveva per me nessuna importanza: ignoravo del tutto quell’argomento.
Eppure ora, a distanza di tanti anni, quel ricordo è riaffiorato nella mia mente, riportandomi il fotogramma della tonaca nera del prete e la sua voce bassa ma appassionata.